Non senza difficoltà, la prospettiva di un centrodestra credibile, capace di tornare alla guida del paese, si è nuovamente riaffacciata nell’attualità politica. Questa era la speranza che ha animato le recenti iniziative della Fondazione e di tutti coloro che ne hanno condiviso lo spirito aperto ed unitario. La sciagurata idea di un possibile accordo (post) elettorale con il PD a motrice renziana non è ancora definitivamente tramontata, con ogni intuibile conseguenza sul dibattito in tema di sistemi più o meno maggioritari, ma qualcosa sembra muoversi nella direzione giusta.
D’altro canto, chi pensa che tutto possa risolversi con una futura stretta di mano fra Salvini e Berlusconi e che le lancette dell’orologio possano tornare indietro di sei anni come se nulla fosse successo nel paese, rischia di andare incontro ad amare sorprese.
Solo un’effettiva capacità di proposta politica proveniente dal centrodestra, da troppo tempo assente in ogni forma di reale dibattito, può contribuire a coinvolgere l’elettorato, certamente disilluso da molte promesse mancate ma anche perfettamente consapevole del fallimento renziano e dell’assoluta inutilità di un salto nel buio a cinque stelle.
Alla luce delle prove fornite recentemente dagli avversari al Governo, in Parlamento e nei più importanti Comuni, chi ha rappresentato il paese sino al 2011 può certamente rivendicare alcune certezze in tema di sicurezza, di immigrazione e di equità fiscale.
Ma anche in tema di Europa, perché l’unica vera reazione agli incredibili errori dell’asse franco-tedesco resta quella di Silvio Berlusconi, contro il quale furono alzati – con la collaborazione attiva di una parte del paese – i cannoni finanziari dello spread.
Ed oggi che da più parti si riconoscono gli errori compiuti quando non si è cercato di correggere con il buonsenso alcuni effetti negativi della globalizzazione non si può certo dimenticare che il primo a sollevare il problema in tutto l’Occidente era stato Giulio Tremonti.
Nel frattempo però si sono aperte nuove crisi senza che nessuno cercasse di proporre delle risposte ai problemi delle nuove generazioni.
Una crisi economica che vede espatriare i giovani lavoratori più capaci e dinamici e vede aumentare invece nel paese la relativa percentuale di disoccupazione.
Una crisi sociale, perché quei giovani restano a vivere con i loro genitori e perdono fiducia nel futuro, mentre il paese non riesce a stare al passo con i cambiamenti ed il tasso di natalità continua a calare come in nessun altro paese d’Europa.
Una crisi politica, perché in molte fasce d’età l’astensionismo diviene ormai maggioritario e mentre i partiti preferiscono inseguire il voto degli over ’50, milioni e milioni di italiani vanno smarrendo qualsiasi coscienza collettiva.
A tutto questo il PD non ha saputo dare alcuna risposta, se non quella degli incentivi alle assunzioni previsti dal Jobs Act che hanno perduto qualsiasi effetto solo un anno dopo il loro utilizzo o delle norme di favore per i giovani italiani che rientrano dall’estero, come se si trattasse di corteggiare con dei vantaggi fiscali chi ha trovato maggior fortuna in un altro paese.
Se il Governo Renzi porta sulle sue spalle il peso di questo gravissimo fallimento, la risposta del Movimento 5 Stelle è ancor più preoccupante perché si fonda sulla rassegnazione e sulla conseguente richiesta di una nuova forma di assistenzialismo, il reddito di cittadinanza.
Non è questo che può riaccendere la speranza delle giovani generazioni, l’impegno nel raggiungere un’adeguata formazione, la precisione e lo scrupolo nello svolgimento del proprio lavoro, la disponibilità al sacrificio laddove necessario, il desiderio di costruire una propria famiglia e magari un paese migliore.
Nel contesto attuale, il tema dei giovani non rappresenta più la pur doverosa attenzione ad una determinata categoria di soggetti, certamente penalizzata dall’andamento della finanza pubblica e della congiuntura economica, oltre che da scelte politiche in tema di rapporto di lavoro, di welfare e di previdenza più attente alla protezione dell’esistente che non alle prospettive future. Il tema dei giovani riguarda oggi la stessa possibilità che l’Italia possa avere un futuro all’altezza della sua tradizione e che la grande sfida della globalizzazione non ci veda già sconfitti in partenza.
A questo tema, se si vuole oggi essere credibili davanti all’elettorato, occorre allora dare alcune risposte.
Partendo innanzitutto dall’attuale tassazione del lavoro che obbliga i più giovani a sopportare un fardello insostenibile in cambio di un sistema di welfare destinato a tutt’altre categorie e che finisce per frustrare sul nascere qualsiasi tentativo di migliorare la propria condizione sociale. Da un nuovo patto generazionale in materia di previdenza che riduca stabilmente i contributi per i giovani. Da mutui agevolati garantiti dallo Stato per le giovani coppie che si fanno carico delle difficoltà del presente per cercare di costruire un futuro per i loro figli, e che si sono viste recentemente umiliate dall’elemosina renziana del bonus bébé. Da un’adeguata programmazione delle assunzioni statali che consenta ai giovani di conoscere per tempo le effettive possibilità di impiego nel settore pubblico, formandosi adeguatamente a tal fine. Da seri investimenti pubblici nel settore delle comunicazioni e delle nuove tecnologie che forniscano alle aziende le infrastrutture necessarie per essere competitivi.
Fino ad arrivare a nuove forme di organizzazione sociale e partitica che consentano di recepire la volontà di partecipazione che si respira in molti ambienti ma che viene poi sopita da un sistema politico sempre più chiuso in sé stesso.
Libertà, lavoro e partecipazione, nel rispetto di alcuni valori non negoziabili e di un impegno collettivo per il bene comune. Di questo speriamo di sentir parlare nei prossimi mesi.
Francesco Compagna