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Antonio Socci: “Per vincere il centrodestra dovrebbe seguire Giulio Tremonti”

maggio 15, 2017
by staff
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Siamo entrati nell’epoca della post-libertà. Forse non ce ne siamo davvero resi conto. È un tempo in cui le elezioni non sono più decisive per assegnare il potere, la sovranità popolare sta su Scherzi a parte e i parlamenti e i governi sono espropriati da cessioni di sovranità verso tecnocrazie non elette (nazionali e sovrannazionali).

Nel nostro Paese che si avvia alle elezioni sarebbe necessaria una riflessione seria su questi temi, non sulle quisquilie che spesso riempiono le cronache politiche.

Una riflessione anzitutto nel centrodestra dove si trovano le migliori intuizioni (per esempio su euro, Ue, emigrazione, sovranità nazionale, rapporti internazionali, valori tradizionali, tassazione, giustizia e sviluppo), ma spesso manca la riflessione strategica.

 Le diverse componenti del centrodestra – che si stanno «annusando» per cercare un accordo elettorale – dovrebbero anzitutto meditare su quanto è accaduto in Italia nel 2011 e poi sulle vicende recenti: la Brexit, l’elezione di Donald Trump e le elezioni in Francia (e negli altri paesi europei).

Consideriamo il caso più clamoroso: l’elezione di Trump. Gli elettori lo hanno mandato alla Casa Bianca, ma l’establishment – che gli si è pesantemente opposto durante la campagna elettorale – sta facendo fuoco e fiamme per cacciarlo da lì.

Tanto che la presidenza Trump – che voleva e doveva partire in quarta – appare duramente zavorrata, condizionata e – per diversi aspetti – azzoppata (Giulio Sapelli lo aveva scritto subito: «Trump irrompe sulla scena internazionale ancora “sub condicione” sino a quando le forze potenti del sistema delle classi dominanti nordamericane non avranno deciso se lasciarlo salire al seggio più alto della cuspide del potere mondiale o rovinarlo con un battito poliarchico delle sopracciglia»).

La Brexit. Anche in questo caso l’establishment internazionale – che aveva i suoi pilastri in Obama e nella tecnocrazia filotedesca di Bruxelles – ha fatto di tutto per condizionare e «spaventare» l’elettorato britannico.

Non c’è riuscito perché quella nazione – la più antica democrazia del mondo – è solida e gelosa della sua indipendenza (per questo non ha mai aderito all’euro).

Tuttavia ora quello stesso establishment sta cercando di farla pagare cara alla Gran Bretagna. E farà di tutto per punirla di questa insubordinazione. Però non sarà facile, anche perché a Washington non c’è più Obama e non c’è la Clinton.

In Francia l’establishment – che lega insieme l’eurocrazia filotedesca, il potere finanziario internazionale, buona parte dei media, del ceto intellettuale e buona parte della Sinistra – è sceso in campo direttamente con un suo candidato inventato dall’oggi al domani.

Negli altri paesi europei sarà ancora più facile. Gli spauracchi propagandistici (davvero ridicoli), che vengono usati con un martellamento ossessivo, sono sempre gli stessi: il populismo, le fake news, gli hacker russi, il mostro-Putin, il mostro-Trump eccetera.

D’altra parte, se si esclude la Grecia, letteralmente commissariata, l’Italia – per la sua debolezza politica e la sua scarsa coesione nazionale – è stato il primo Paese europeo che ha visto l’esproprio della sovranità popolare: nel 2011 il governo Berlusconi, legittimamente eletto, è stato sostituito da un governo tecnico gradito a Berlino, Bruxelles, Parigi e Washington (epoca Obama).

In questi anni il popolo italiano è stato ideologicamente «bombardato» e sottoposto a una sorta di «rieducazione» europea.

Idee come la «cessione di sovranità» – che dovrebbe far rabbrividire qualunque popolo e stato sovrano – è diventata una bandiera sventolata con orgoglio e rivendicata e spacciata come nobile e meritoria. Come il «vincolo esterno».

Hanno cercato di convincere gli italiani che è meglio se si lasciano governare da fuori dei confini.

Hanno cercato di convincerci che per «diventare» europei (come se non lo fossimo) dobbiamo smettere di essere italiani, vergognarcene un po’ e lasciar perdere l’interessa nazionale italiano. O che essere europei viene prima, è «glamour», è evoluto e colto, mentre essere italiani è provinciale, buzzurro e sciovinista.

Hanno perfino martellato l’opinione pubblica per persuaderla che senza l’euro non ci sarebbe più l’Europa. Non si sa se mettersi a piangere o a ridere.

D’altronde se volessimo considerare tutte le destabilizzazioni di questi anni in tutti i continenti, scopriremmo che in altri luoghi (come l’Iraq, la Libia o la Siria) i «cambiamenti» graditi sono stati perseguiti con metodi molto più pesanti…

Qual è il succo di questa storia? Semplice: non basta vincere le elezioni. È una cosa che probabilmente alcuni – come la Lega di Salvini e il M5S – non hanno ancora capito o non hanno considerato pienamente.

Ormai i nostri Paesi – soprattutto l’Italia – sono stati avviluppati da una tale quantità di vincoli, cessioni di sovranità e subordinazioni economiche e giuridiche, che l’establishment sovrannazionale in pochissimo tempo legherebbe le mani a un governo «non gradito» e «non allineato». Portandolo alla resa o al fallimento o delegittimandolo.

Soprattutto poi se quel governo «non gradito e non allineato» non dispone di un personale politico all’altezza del compito (specie se è un compito sovrumano) com’è accaduto al M5S a Roma.

Cosa c’entra tutto questo con il tentativo delle forze del centrodestra di ricucire un’alleanza?

Semplice. La Lega e Fratelli d’Italia hanno colto il nodo fondamentale che deve essere sciolto: la sovranità nazionale, l’euro e questa Unione europea.

Forza Italia da parte sua è molto più cauta, perché Berlusconi ha già sperimentato cosa significa trovarsi nel mirino della Merkel, di Parigi e di Bruxelles e da tempo ha cercato un buon rapporto con la stessa Merkel attraverso il Ppe (anche per inseguire la riabilitazione personale).

Sembrerebbe una contrapposizione impossibile da conciliare quella fra Berlusconi da una parte e Salvini/Meloni dall’altra. Invece potrebbe rivelarsi un punto di forza.

Perché i nodi della sovranità, dell’euro e della Ue non possono essere risolti da «massimalisti», con un taglio netto e istantaneo, con un referendum o un’uscita unilaterale, che ci farebbero pagare salatamente.

Ma possono e devono essere affrontati con un metodo «riformista», cioè con la sapiente e paziente tessitura della politica.

Ci sono tanti mattoncini che – a poco a poco – possono essere sottratti all’edificio Ue: dal bail-in, che è incostituzionale, alla superiorità delle norme europee rispetto a quelle nazionali, fino alla ridefinizione dell’Unione europea come «confederazione» (proposta Tremonti) così da recuperare gradualmente sovranità. E arrivare – con una saggia tessitura – alla revisione (più o meno consensuale) della moneta unica e della politica economica «germanica».

Ecco perché un centrodestra composito – che mette in campo tutte queste diverse sensibilità (però con un personale politico serio e qualificato) – potrebbe essere una vera chance per il Paese.

                                                                                             di Antonio Socci (da Libero Quotidiano, 14/05/2017)

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